Scheda libro a cura
di Fulvia Gioffrè
“Volevo
essere una farfalla” e’ l’ultimo
libro pubblicato dalla Marzano, affermata filosofa italiana che vive
in Francia.
Il
libro racconta come l’anoressia l’abbia accompagnata per
anni, costringendola quasi a sopravvivere più’ che a
vivere, a rimettersi quotidianamente in gioco e in questione a
prezzo di dure lotte con se stessa, a voler infine riprendere a
vivere a tutti i costi.
Dalla
prima infanzia a Roma alla nomina a professore ordinario
dell’università’ di Parigi, passando per una
laurea e un dottorato alla Normale di Pisa, la sua vita si e’
svolta all’insegna del “dovere”.
Figlia
di un professore universitario, uomo dal carattere autoritario e
severo, nutre, fin da piccola, un affetto incondizionato nei
confronti della figura paterna, contrapposta a quella troppo fragile
e remissiva della madre. L’affetto che la bambina riversa sul
padre sembra essere respinto da una cortina impenetrabile e con il
passare degli anni si trasforma nella consapevolezza che per
conquistare le sue attenzioni sia sufficiente essere ciò’
che lui desidera.
Vuoto,
sofferenza, incomunicabilità’, indifferenza diventano
gli incubi spettrali che affollano quella fragile esistenza
sopraffatta dall’unico obiettivo di annullarsi completamente,
in una lotta quotidiana ed estenuante tra il bisogno di essere, di
far accettare al padre la parte più’ vera e autentica
di sè, e la necessità’ di dover essere la
figlia che lui desidera.
L’imperativo
categorico e’ imporsi un rigido autocontrollo su ogni aspetto
della propria esistenza. Una necessità’ che non resta
confinata nell’ambito del difficile rapporto padre-figlia ma
che, giorno dopo giorno, si estende ai rapporti con gli altri fino a
diventare una barriera che si erge come protezione nei confronti del
mondo.
Il
sintomo evidente di una sofferenza così’ profonda ha il
volto oscuro dell’anoressia. E’ l’unico modo per
sentirsi vincente: controllare il proprio peso, significa
controllare la propria vita.
Nel
suo impegno esclusivo per raggiungere la perfezione e ottenere
successi, ci racconta anche delle punizioni per ogni cibo ingerito,
del calcolo ossessivo delle calorie assunte a ogni porzione di torta
e il conteggio delle vasche in piscina per poi smaltirle tutte.
Michela
riesce ad offrire una testimonianza sincera della fragilità
di una giovane donna, del desiderio di attenzioni,della sua
silenziosa richiesta d’aiuto. E ci mostra anche il coraggioso
cammino per affrontarle, quello che ha percorso lei, nel corso degli
anni, per sconfiggere la malattia e il senso di disperazione e
inadeguatezza fino al giorno in cui ha detto basta,basta
onnipotenza, basta perfezione .
Il
giorno in cui ha iniziato ad acquisire consapevolezza di ciò’
che davvero l’avrebbe aiutata nel suo percorso: riconoscere i
limiti, le proprie paure, le proprie sofferenze. Guardarle e
accettarle e convivere con esse.
Il
libro e’ scritto in una chiave narrativa assolutamente
originale e nel contempo assolutamente avvincente. Non e’
un’autobiografia, non sono memorie, non e’ un saggio,
non e’ una storia ---eppure e’ tutte queste cose!
L’anoressia
e’ un pretesto per raccontare il male profondo che e’ di
una bambina, di una ragazza, che vuole solo vivere, comprendere,
gioire e crescere in una situazione in cui un padre, severo docente
universitario, e una madre amorevole non sono affatto la ragione
scatenante di ciò’ che l’affligge.
E’
la fatica di vivere,o meglio la fatica di voler capire tutto,
afferrare tutto, che aggredisce e attanaglia la piccola Michela, il
conflitto tra un dover essere atteso e perseguito con ostinazione –e
non tanto per volere del padre-e un essere fragile, indifeso, forse
insufficientemente protetto da un calore famigliare, che in effetti
non le manca.
Di
qui si snoda tutta la sua vita che non e’ un racconto lineare
e puntuale, cronologicamente condotto: si tratta di una serie di
flash- ed e’ per questo che il libro va letto tutto di un
fiato, come “confessioni” rese sul lettino
dell’analista, dove parli per te, come “ti viene in
mente” al di là delle coordinate spazio temporali che
scandiscono, invece, la cosiddetta vita normale di ogni giorno.
Michela costruisce la sua storia con criteri atemporali -si può’
dire così’ –perché non e’ lo
scorrere del tempo che caratterizza il suo crescere e maturarsi! E’
l’ inquietudine costante e insoddisfatta di Michela
bambina,
giovinetta, adulta, studentessa, professore, filosofo che tesse il
filo della narrazione, una sorta di diario che però’
non afferisce al susseguirsi dei giorni, ma e’ scandito per
dolori e per gioie, pensieri di morte e inni alla vita.